Ciao, io sono Ilaria Maria Dondi, tra le altre cose sono “mamma” dal 2016 ma esisto nel mondo dal 1981: il che significa che per 35 anni sono stata una donna, in periodi diversi dell’età adulta, prima childless e poi childfree. Questa è la mia newsletter in cui scrivo di diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi).
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In origine questo testo doveva comparire nel mio saggio che, ora posso dirlo, uscirà in libreria il 16 gennaio 2024 per Einaudi e che si chiama Libere. Di scegliere se e come avere figli.
Con l’editor, abbiamo però deciso di rimuoverlo dalla versione finale. Eccolo qui.
I figli NON servono
I numeri della crisi demografica sono a disposizione di chiunque voglia leggerli con onestà, senza dover per forza metterci sopra la lente della propria ideologia.
Con una media di 1,29 figli per donna (a fronte del tasso di mantenimento della popolazione a 2,1), il tasso di fertilità italiano è tra i più bassi d’Europa: un fenomeno destinato a far saltare il nostro sistema welfare nel prossimo futuro.
Al tempo stesso, studi come Non è un Paese per madri (Laterza, 2022) della demografa Alessandra Minello, ci dicono che
oltre la metà degli italiani sarebbe felice di avere almeno due figli, se potesse,
e che se è vero che la scelta childfree volontaria cresce a livello globale,
questa riguarda in Italia meno di due donne su 10.
Per le altre, la non maternità non è una scelta, e spesso è una condizione subita per mancanza di mezzi o compatibilità tra progetti lavorativi e familiari. Tale scenario socio-demografico NON beneficia in alcun modo di campagne anti-abortiste, fertility day o fondi in «sostegno alla Vita nascente», che usano l’alibi dell’incubo denatalità per perpetrare la costante violazione dei diritti riproduttivi e della dignità delle donne e delle persone con utero.
Tali enti e associazioni filo-governative, del resto, invece di utilizzare i soldi pubblici per una politica integrata che supporti la volontà riproduttiva delle molte donne e persone messe in condizione di non procreare, giocano la carta della morale pro vita, antiabortista e di una gratificazione economica immediata, irrisoria e ricattatoria, quanto insufficiente sia alla crescita psico fisica del bambino che si pretende ‘salvato’, sia a sostenere i suoi genitori.
A questo proposito,
la vicina Francia, primo Paese al mondo in procinto di costituzionalizzare
il diritto all’aborto, ha uno dei fertility rate più alti dell’Unione Europa (1.79)
a fronte di un tasso di occupazione delle madri lavoratrici al 74,8%; e cioè superiore alla media UE che è del 72,4%.
Il tasso dell’occupazione delle lavoratrici italiane, invece, è il peggiore di tutta l’UE, con una percentuale del 57,6%1.
Vogliamo lavoro e diritti
(anche per fare i figli che la maggior parte di noi vuole)
Cosa hanno da dirci questi dati? Tra le altre cose, che
le donne non fanno figli perché costrette o colpevolizzate da campagne anti abortiste o perché escluse dal lavoro salariato e confinate nelle case.
La controprova sono i tassi di fertilità dei sette Paesi dell’Unione Europea con le quote più elevate di donne occupate con figli:
Slovenia (86,2% madri occupate, 1.63 figli a donna)
Svezia (83,5% madri occupate, 1.67 figli a donna)
Portogallo (83,0% madri occupate, 1.37 figli a donna)
Lituania (82,6% madri occupate, 1.62 figli a donna)
Danimarca (82,2% madri occupate, 1.72 figli a donna)
Paesi Bassi (80,7% madri occupate, 1.64 figli a donna)
Finlandia ( 80,3% madri occupate, 1.4 figli a donna).
Vogliamo lavoro (anche per fare figliPer contrastare la denatalità, è necessario generare un sistema virtuoso e connesso di politiche sociali, economiche e del lavoro in grado di rendere questo Paese un po’ più a misura delle donne che vogliono essere madri.
E dei padri: i perenni dimenticati di questo discorso, ma senza i quali è difficile che noi donne ci si trasformi tutto d’un tratto in incubatrici di bambini, felici di procreare due o tre figli a testa in cambio di qualche bolletta pagata o di un passeggino nuovo.
Già, perché come chiede Katherine Angel2:
«E se in questo gran parlare di patriarcato, il femminismo si fosse scordato dei padri?».
Mettere gli uomini al loro posto all’interno della famiglia - in quanto padri e non mammi -, significa distribuire i carichi di cura in modo equo e, come dice Lea Melandri3, anche smetterla di fare da madri ai nostri mariti o compagni.
Non serve neppure inventarci nulla di nuovo, quanto togliersi le lenti occidentalo-centriche e farci guidare dall’antropologia4 alla scoperta di popoli in cui i ruoli di cura sono equamente distribuiti tra padri e madri - e urlare Si può fare! -, invece di guardare a tutto ciò che non è nel nostro cerchio della fiducia come a proto modelli di civiltà, primitivi e da civilizzare.
Tanto più che la divisione dei ruoli sulla base del sesso biologico attuale è ferma al primo Dopoguerra italiano, quando ancora la società poteva illudersi – ed era già in errore – di confinare di nuovo le donne in casa a fare figli, meglio se tanti, e a farsi bastare qualche lavoro da donna, compatibile e comunque secondario al suo ruolo principale di moglie e di madre.
E oggi? Persino ora che la bambola più famosa del mondo, che prima ci voleva belle e mamme, ci dice che possiamo essere tutto ciò che desideriamo, sappiamo che, alla prova della realtà, il sottotesto da aggiungere è «purché nel frattempo si siano assolti anche i nostri doveri di brave bambine, brave compagne e, soprattutto, brave madri». Il rischio di credere al se vuoi puoi performativo, che ci viene propinato a destra e a manca, è direttamente proporzionale al diffondersi del benaltrismo progressista di chi sminuisce la lotta per i diritti delle donne con la favola di una parità ormai raggiunta, ché «le nostre nonne o madri una libertà così se la sognavano».
La fregatura del multitasking
Errore anche nostro, ça va sans dire, che eravamo talmente abituate ad essere escluse dai diritti e dagli spazi che ci siamo prese tutti quelli che potevamo, a qualsiasi prezzo, senza ridistribuire il peso del lavoro non retribuito che già ci occupava tutte le ore della giornata con padri, compagni, fratelli e figli che, dal canto loro, non hanno mai sentito alcuna necessità di ricontrattare ciò di cui non era mai stato loro interesse farsi carico.
Ma a che serve aggiungere ulteriori argomenti per colpevolizzarci
in una società che già lo fa quotidianamente?
Diciamo piuttosto che il nostro è stato entusiasmo, meglio, la strategia del prendiamoci più spazi possibili, e poi cambiamo le cose da dentro.
Tanto che, a un certo punto, ci siamo ritrovate a sventolare orgogliose, nei curricula come nelle mezz’ore sottratte a serratissimi planning settimanali per un aperitivo veloce con un’amica, il nostro essere donne multitasking: esperte dee kalì con decine di braccia, in grado di tenere insieme carriere, lavori domestici, fidanzati, mariti, amanti, amicizie, bambini, persino (a volte) qualche hobby, grazie a innate doti organizzative, a una vocazione naturale alla cura dell’altro, alla pazienza e, soprattutto, e all’abitudine a una stanchezza cronica.
«Ah, se non ci foste voi donne», ci hanno detto gli uomini per lisciarci il pelo, aggiungendo sospiri di ammirazione e cose tipo: «Voi donne avete una marcia in più rispetto a noi!».
E noi abbiamo sorriso affermative, facendo nostri questi «complimenti che complimenti non sono» e coniugandoli alla prima persona con orgoglio.
Poi, ci siamo accorte della fregatura; e ogni giorno che passa ne acquisiamo coscienza.
Non torneremo a fare figli, o più figli. A meno che…
Non torneremo a fare figli, o più figli. Il tasso di natalità non ricomincerà a crescere.
Almeno finché il sistema Paese continuerà a scaricare sulla donna oltre l’80% del lavoro non retribuito di cura e assistenza;
finché la ripartizione dei ruoli non cesserà di essere sessista;
finché un congedo parentale equo e obbligatorio per entrambi i genitori non ci permetterà di sedere davanti alla persona preposta al recruiting senza gap di genere.
Non torneremo a fare figli, o più figli finché parità di accesso al lavoro, alla carriera e equità di retribuzioni non saranno solo proclami ma realtà oggettive;
finché non saranno attuate politiche di supporto alla genitorialità e alla crescita dei figli strutturali e sistemiche; come dimostrato da Paesi in cui, a fronte di tassi d’occupazione femminile elevati e presenza di donne nei board aziendali e nei luoghi di potere, le medie di figli per donna sono elevati.
Se anche le apocalissi climatiche, nucleari e umanitarie fosse tutte scongiurate in un colpo solo,
noi donne non ci rimetteremo a far figli per senso di responsabilità nei confronti di governi che, quando diventiamo madri – ma anche se non facciamo figli – ci discriminano e ci penalizzano e, in quanto donne (e quindi potenziali procreatrici), ci considera percentuali di scarto nella logica improntata alla produttività e alla performance.
Non ci metteremo a far figli per scongiurare l’eventualità di non avere soldati per difendere i confini,
né per salvare la Patria dall’incubo razzista della miscegenazione.
Fare figli, a differenza di un tempo in cui serviva manodopera fuori e dentro i campi,
non è più necessario, ed è un costo economico e sociale che spesso,
anche quelle di noi che vorrebbero, non possono permettersi.
Diventare madri rende le donne povere e le espone alle molteplici forme di violenza di genere, a partire da quella economica. Di certo non ci metteremo a fare figli per qualche centinaio di euro o una fornitura di pannolini una tantum gentilmente offerti dalle associazioni pro vita; né perché qualcuno si sarà adoperato per lasciarci senza alternative, sperando di costringerci a partorire.
I figli non sono necessari, neppure per essere più felici o realizzati: ne abbiamo parlato anche qui. Essere libere di scegliere e poter vivere le nostre vite con dignità, sì, è necessario, e dovrebbe essere un diritto.
Grazie per aver letto fin qui!
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Vi presento il mio libro!
Questa è la copertina del mio saggio, realizzata dalla bravissima Anna Parini (grazie 🙏).
Siccome sarà in tutte le librerie dal 16 gennaio 2024 (e io devo ancora abituarmi all’idea che sta succedendo davvero!), ne parliamo meglio nell’anno nuovo, ma visto che in tantə mi state chiedendo informazioni: qui trovate la “descrizione”, tratta dal risvolto di copertina.
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🥚 Le puntate precedenti
Qualora te le fossi perse:
Il "tempo vuoto" delle donne senza figli, discriminate sul lavoro
Perché sul lavoro ci si aspetta che le donne e le persone senza figli offrano una disponibilità maggiore e si facciano per esempio sempre carico dei turni natalizi o festivi?Il lutto negato alle "mamme-non-mamme”
Come la nostra società maternalista nega il dolore e l'identità materna alle donne che non possono avere figli, hanno avuto aborti spontanei o terapeutici (mentre li pretende da chi sceglie l'IVG).
"Vorrei avere figli, ma non posso"
Quante condizioni childless esistono oltre la narrazione unica del 'figlio che non arriva'?
Quante ragioni abbiamo per NON avere figli?
E se, invece di chiedere Perché non vuoi figli?, chiedessimo Perché ne hai/ vuoi?
Madri, childless, childfree... Altro
Come vogliono dividerci in base a quello che i nostri uteri hanno o non hanno prodotto - o al fatto stesso di avercelo, un utero!
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Grazie 🙏 ! Davvero.
Ilaria Maria Dondi
Eurostat, Higher employment rate for men with children, agosto 2021.
Katherine Angel, Bella di papà. La figura del padre nella cultura contemporanea, Blackie, 2021. Traduzione Veronica Raimo, Alice Spano.
In Paola Leonardi, Ferdinanda Vigliani, Perché non abbiamo avuto figli, Franco Angeli, 2009.
Margaret Mead, Maschio e femmina, Il Saggiatore, 2016. Traduzione di Maria Luisa Epifani e Roberto Bosi.