Ciao, io sono Ilaria Maria Dondi, tra le altre cose sono “mamma” dal 2016 ma esisto nel mondo dal 1981: il che significa che per 35 anni sono stata una donna, in periodi diversi dell’età adulta, prima childless e poi childfree. Questa è la mia newsletter in cui scrivo di diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi).
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Insomma, fino ai 35 anni ho subito lo stigma di una società che mi voleva madre a tutti i costi e la rappresentazione stereotipata che si dà delle donne senza figli - un po’ party harder, un po’ egoiste, un po’ poverine, un po’ puttane, un po’ sole -, senza riconoscermi in nessuna.
Poi sono diventata madre.
E ho compreso che non c’era spazio per me fuori dal giudizio e dallo stereotipo, neppure con un pargolo in braccio.
A quel punto, è successa una cosa:
come succede a tante, con la maternità mi sono persa.
Tutta intera
Avere un figlio mi aveva resa madre, ma io ero (anche e ancora) la donna piena di desideri, ambizioni, progetti, interessi e priorità che la maternità non aveva né sopito né cancellato.
Eppure, tutto e tuttə attorno a me, sembravano pretendere che io abdicassi a tutto ciò che era stato e che io ero stata (e continuavo a essere):
Ormai sei mamma…
Le priorità di una donna quando diventa mamma cambiano.
Non puoi più fare la vita di prima.
E niente, anche tu sei entrata nel club delle mamme ora e tanti saluti!
Che nulla sarebbe stato più come prima, era chiaro.
Che essere madre era un tassello bello ingombrante che andava ad aggiungersi alla mia identità, e con cui facevo ancora fatica a familiarizzare, pure.
Ma la maternità non era TUTTA la mia identità.
Ilaria Maria Dondi TUTTA INTERA è anche madre, non solo madre.
Solo che Ilaria Maria Dondi TUTTA INTERA sembrava non vederla più nessuno.
Non-storia della mia depressione
La mia depressione post-partum, da un po’ di tempo a questa parte, non è un mistero. Chi legge i miei articoli o mi segue su Instagram lo sa. Sicuro ci sarà modo di parlarne più diffusamente, ma è importante partire da qui.
Se non mi fossi persa in quel buio, è probabile che oggi non starei digitando queste parole. Di certo non avrei scritto il saggio che nei mesi scorsi ho consegnato all’editore (ma è presto per parlarne, visto che ancora non so quando uscirà!), e non scriverei in maniera quasi ossessiva di
diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi!).
Occuparmi di diritti riproduttivi è stata una necessità.
Scrivere, da madre, contro la maternità performativa, ma soprattutto del diritto alla scelta chilfree, del riconoscimento del diritto all’aborto e al lutto childless, senza mettere in contrapposizione scelte e condizioni di nessunə, senza attribuire valore a una e disvalore all’altra, è stato il mio modo di mettermi in salvo!
Poi è diventata materia di studio costante, e di attivismo.
Donne senza figli e maternalismo (paternalista)
Questo articolo è del 2017, ma per me ha segnato un punto di svolta: è stato il momento in cui ho deciso che volevo contribuire a creare una narrazione non dicotomica;
cioè non madri VS senza figli, ma madri e senza figli insieme.
È un testo ancora molto immaturo, me ne rendo conto, ma in cui sei anni fa scrivevo:
Perché non può capire?
Perché non è stata nel blocco parto dimenticandosi qualsiasi esercizio di respirazione imparato durante 9 mesi di gestazione?
Perché non ha passato notti insonni nel tentativo di capire se quelle urla infinite volessero dire fame, paura, freddo, coliche, coccole?
Perché può partire per un weekend senza programmarlo e andare al cinema quando vuole?
O perché non ha cambiato pannolini e può starsene in una vasca termale senza domandarsi se non sia egoista e irresponsabile aver lasciato il cellulare nell’armadietto dello spogliatoio?
Perché una donna senza figli, intelligente e sensibile, non può capire; o addirittura farlo meglio di una madre, che altrettanto sensibile non lo è?
Perché fughiamo ogni dubbio, se una persona è mediocre non sarà la maternità a renderla migliore.
O funziona come con i morti: e pure gli stronzi, una volta sottoterra, diventano brave persone?
Assistiamo alla santificazione indiscriminata della figura materna, come se fosse un totem, un oggetto mistico, come se la possibilità biologica di riprodursi, quando trova compimento, elevi automaticamente una donna, a prescindere dai meriti e dalla sua etica, a una sorta di divinità panteista che, come la Madre Terra, nutre, protegge, accoglie. Ma quando mai?Come se bastasse partorire un figlio per diventare, tutto a un tratto, materne e rendere le nostre voci più meritevoli di ascolto di quelle di altre donne, senza figli.
Come se nel momento stesso in cui diventi madre, un nuovo ormone, tra i tanti in circolo, ti renda all’improvviso migliore e chiaro tutto ciò che fino al giorno prima ti era ignoto in fatto di bambini e maternità.Continuiamo a dire che una donna senza figli non è una donna a metà, ma poi ci sono i “beata te”, che lasciano sottintendere una superficialità di vita incompleta cui “manca qualcosa”, i “non puoi capire”, i “guarda che se non fai un figlio poi potresti pentirtene” o quella perla di egoismo e ricatto, che di materno ha tanto poco, che è “E poi quando sarai vecchia? Chi si prenderà cura di te?”
Abbiamo un concetto di maternità idealizzato e falso che è quanto di più anti-materno e accogliente ci possa essere. Di più, è oppositivo: Mamme VS Donne senza figli, Parto naturale VS Epidurale, Allattamento al seno VS Formula: è un’eterna lotta a chi fatica, soffre, si sacrifica di più, come se il metro di misura di una vita non fosse la realizzazione di chi l’ha vissuta, o il suo sentire, ma l’adempiere a “doveri” imposti o autoimposti.
Ero arrabbiata, e si sente. Lo sono ancora, ma in modo diverso. Più consapevole. Ho preso la mia rabbia e l’ho buttata nello studio, per capire, per decostruire, per scardinare un sistema che ci vuole uteri… Infine per costruire, una nuova narrazione delle nostre scelte o condizioni riproduttive.
Una newsletter senza campionati a squadre
Se sei qui, probabilmente anche tu sei stancə, come me, di tutto questo dividerci in base a quello che i nostri uteri hanno o non hanno prodotto - o al fatto stesso di avercelo, un utero!
Se sei qui, probabilmente è perché
Madri contro childless
Childless contro childfree
Madri perfette contro mamme carenti
Famiglie tradizionali contro ‘altro’
sono campionati, in cui non vince nessunə, che anche tu non vuoi più giocare.
Ti/ci metteranno dentro lo stesso, ma noi possiamo cominciare una nuova narrazione:
non contro, ma insieme!
Una domanda non necessaria
Se sei qui, scommetto che sei anche stanca di dover rispondere alla madre di tutte le domande, come l’ha definita Rebecca Solnit, che in realtà non è solo una, ma tante:
Hai figli o non li hai e, in questo caso, li vuoi o ne farai?
Ti sei pentita, di averli o non averli avuti?
E se poi te ne penti?
E molte altre ancora.
Perché, se sei donna e non hai figli, una motivazione la società da te la pretende. Ma anche se sei madre non ti lasceranno stare.
Puoi stare tranquillə!
Qui queste domande non le sentirai: ne parleremo, certo, come è certo però che non ti verranno poste, perché la nostra vita riproduttiva - scelta o subita che sia - non definisce né esaurisce le persone che siamo.
Sì, lo so. I messaggi che arrivano dai media, dalla politica, dai social e a volte persino dalle persone vicine a noi sembrano metterci di fronte a un bivio:
madre sacra o puttana/ donna egoista o poverina?
Non è così! E se avrai voglia di seguirmi ne parleremo, e te lo dimostrerò pure: con dati, studi scientifici, storie e leggi alla mano!
Perché questa newsletter si chiama Rompere le uova?
Credo che il controllo che la società cerca in ogni modo di avere sull’uso che faremo delle nostre ‘uova’, prima che la riserva ovarica - che si presume in dotazione a chi nasce biologicamente femmina - sia esausta, abbia davvero rotto tutto il frantumabile.
La storia della maternità come destino e massima realizzazione di una donna,
e con tutti i giudizi e i pregiudizi annessi, stigmatizza coloro che non hanno
o non avranno figli, e giudica anche chi ne ha.
È tempo di riprenderci le nostre uova e farne ciò che vogliamo.
Mettendo al centro il nostro desiderio.
È tempo di dirci chiaro e tondo - e di dirlo al mondo - che nessuna scelta è migliore delle altre e pretendere, insieme: Non giudicateci più!
Cose che ti prometto di non fare
Parlare solo di me stessa.
Questo primo numero di Rompere le uova serve da presentazione e per spiegarti come è nata questa newsletter.
Nei prossimi numeri troverai: studi scientifici, antropologici e socio-economici, traduzioni di articoli, consigli sui libri dedicati al tema, storie vere e molto altro.NON ti riempirò la casella di posta elettronica - no, grazie!
Metto subito un un limite: da me riceverai massimo due newsletter al mese!ps. metto le mani avanti: nei periodi in cui il logorio della vita moderna avrà la meglio, potrebbe anche essere solo una (meglio una newsletter in meno con qualcosa da dire che una raffazzonata perché devo, giusto?).
Soprattutto NON seguirò i trending topic - mi stanca anche solo scriverlo!
In questo spazio vorrei ci prendessimo, sia io sia tu, se lo vorrai, il tempo per riflettere senza l’ansia di dover essere sul pezzo degli algoritmi.
Quindi potrebbe succedere che nel bel mezzo del dibattito del momento sul tema diritti riproduttivi, la mia newsletter parli d’altro (al massimo, ti condividerò - a patto di trovarne - analisi illuminanti o inedite altrui).
Perché? Preferisco inviarti un contenuto studiato e approfondito, che spammarti pensieri di pancia o riassunti raffazzonati perché devo! Questo masticare e sputare tuttologia lo lasciamo ai social, ti va?
In questo spazio vorrei ci riappropriassimo
della complessità e delle sfumature.
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