"Vorrei avere figli, ma non posso"
Quante condizioni childless esistono oltre la narrazione unica del 'figlio che non arriva'?
Ciao, io sono Ilaria Maria Dondi, tra le altre cose sono “mamma” dal 2016 ma esisto nel mondo dal 1981: il che significa che per 35 anni sono stata una donna, in periodi diversi dell’età adulta, prima childless e poi childfree. Questa è la mia newsletter in cui scrivo di diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi).
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Perché non hai (o non hai avuto) figli?, lo abbiamo visto nella newsletter precedente, è l’altra faccia della madre di tutte le domande (Solnit, 2015), con cui si investigano le cause della mancata (ri)produttività delle donne, non tanto o non solo per invalidare la scelta childfree (cioè di chi non vuole avere figli), ma più in generale per attribuire un valore morale e sociale alla persona nata femmina e senza figli.
“Vorrei, ma non posso” è la risposta che colloca automaticamente la donna childless nella squadra delle brave donne sfortunate, con dosi massicce di commiserazione e retorica che si traducono in attributi e perifrasi come
poverina, sfortunata,
sarebbe una brava mamma,
il Signore non ha voluto darle la gioia della maternità,
non è stata benedetta,
ci sono donne che hanno figli e non lo meriterebbero, tu/lei invece…
La strategia è sempre quella, divide et impera:
opporre madri e non madri,
quindi le donne che non hanno figli perché non ne vogliono a quelle che non ne possono averne.
Si procede quindi con l’attribuzione di un valore maggiore alle madri (purché si riproducano secondo precisi crismi e tempistiche), seguite in graduatoria da chi non può avere figli causa sterilità o infertilità,
e a buttare direttamente giù dal podio chi sceglie la non maternità, come se fosse un atto di hybris (ὕβϱις) , la tracotanza o rivolta contro il volere divino che nella tragedia greca condanna anche l’eroe o l’eroina più valorosə.
In tutto questo si dà per scontata la risposta o si omette la domanda:
Cosa significa non potere avere figli?
Se la prima cosa che ti viene in mente è “essere sterilə/ infertilə” o avere un partner che lo è, ci tengo a precisare che è normale: siamo cresciutə con una narrazione monodimensionale delle coppie - e soprattutto - delle donne che non possono avere figli. È tempo di restituirci un po’ di complessità.
Innanzitutto, una precisazione. Sterilità e infertilità non sono sinonimi, anche se in contesti non tecnici si è soliti usarli come tali. A livello medico con sterilità si indica l'incapacità biologica a concepire, con infertilità, invece, l'impossibilità di completare la gestazione e portare a termine la gravidanza.
Come avrai capito, però, qui il punto del discorso è un altro.
Non potere avere figli è una condizione che va oltre l’impedimento biologico e che dobbiamo imparare a raccontare, a partire dalla ricerca di nuove parole e definizioni perché al solito, come amo ripetere spesso me ne rendo conto,
ciò che non nominiamo non esiste, nel senso che non viene riconosciuto.
Non a caso sempre più attivistə, medicə e studiosə bioeticə propongono di parlare di infertilità sociale, mentre altrə ancora rifiutano questo termine (pur riconoscendo come necessaria la risemantizzazione dell’infertilità) perché rischia di diventare una patologizzazione linguistica di condizioni childless involontarie che non dipendono da limiti biologici.
E quindi, quali sono queste condizioni?
L’elenco che segue non ha alcuna possibilità di essere esaustivo, ma inventariare alcune casistiche childless involontarie ha il solo scopo di tirare fuori dall’ombra le storie invisibilizzate di tante persone che, a prescindere dal genere in cui si riconoscono, vorrebbero ma non possono avere figli.
Tra le cause di non genitorialità involontaria possiamo dunque annoverare:
Ragioni mediche
Possono essere fisiche o psichiatriche e, pur non impedendo né il concepimento né la possibilità di portare a termine la gravidanza, rendono entrambe gli eventi biologici fortemente sconsigliati, perché mettono a repentaglio la vita e/o la salute della gestante;responsabilità morali e/o genetiche
Sempre legate a cause fisiche o psichiatriche: dall’ereditarietà genetica di patologie particolarmente gravi, a problemi psichiatrici che rischiano di mettere a repentaglio la sicurezza, la sopravvivenza e il futuro del nascituro e aprono a diatribe bioetiche spinose;ritardi diagnostici (e quindi terapeutici)
In patologie come l’endometriosi o la vulvodinia, per esempio, quando non rendono impossibile il concepimento possono ritardarlo fino al punto da vanificarne la possibilità;l’insorgenza di patologie (es. cancri, leucemie, etc)
che prevedono terapie salvavita incompatibili con la gravidanza o con tempi di cura che incidono sulla pianificazione riproduttiva.
Si parla nello specifico di infertilità sociale nei casi in cui l’assenza di un figlio (biologico ma anche adottivo) sia dovuta a cause quali:
la vedovanza precoce;
più in generale l’assenza di un partner con cui realizzare il proprio desiderio riproduttivi durante il periodo fertile;
i bias sociali e i limiti normativi che rendono molto difficile (o impossibile) la genitorialità sia biologica, sia sociale (es. adozione) a coppie omosessuali, queer e/o a persone trans o non binarie o a persone single che vorrebbero costituire famiglie monogenitoriali;
lo stigma nei confronti della paternità trans
anche laddove gli eventi biologici cosiddetto naturali del concepimento e della gravidanza siano possibili nel caso di mantenimento dell’utero.
L’infertilità sociale è influenzata sia dalla situazione socio-economica privata della persona in età fertile, sia dalla condizione geo-politica e ambientale in cui essa vive.
Guerre o catastrofi naturali,
per esempio, impattano i percorsi di vita delle persone e, quindi, anche sulla pianificazione riproduttiva;povertà e assenza di condizioni economiche,
ma anche lavorative e contrattuali tali da poter permettere un minimo di pianificazione del futuro, sono del resto tra le cause più diffuse di infertilità sociale.
Sul tema, la demografa Alessandra Minello (Non è un Paese per madri, Laterza, 2022) avverte che in Italia:
per 8 donne senza figli su 10 la condizione childless non è una scelta, ma dipende dalla mancanza di risorse economiche o dall’incompatibilità tra progetti lavorativi e familiari,
la metà degli italiani sarebbe felice di avere almeno due figli, se potesse permetterseli (invece abbiamo uno dei tassi di fertilità più bassi di tutta Europa, con una media di 1,29 figli per donna).
Il dolore non riconosciuto delle madri definite senza figli
Esistono poi moltissime donne considerate senza figli che sono madri e si riconoscono come tali, ma che vengono al contrario invisibilizzate dalla stessa società maternalista che ci vorrebbe tutte riprodotte e felici di esserlo.
Parlo delle madri che hanno perso i loro bambini in seguito ad aborti spontanei o terapeutici, il cui lutto non viene mai riconosciuto; al massimo strumentalizzato all’occorrenza contro il diritto all’autodeterminazione e all’aborto.
La vicenda del Cimitero dei Feti di Brescia di cui mi sono occupata nel 2021 mostra come la retorica paternalista e antiabortista non si curi in nessun modo del lutto e del dolore di queste madri che la società pretende senza figli, e alle quali nega persino la sacralità di una tomba su cui elaborare il proprio dolore.
La statistica, purtroppo, mi dice che tra chi leggerà queste newsletter ci sarà chi questo dolore e la sua invisibilizzazione li ha sperimentati o li sperimenterà
Se sei tu, ti giunga intanto il mio abbraccio. Nei prossimi numeri ho intenzione di fare luce su questa contraddizione e raccontare alcune storie che mi sono state affidate. Spero che ciò possa aiutarti a sentirti meno sola.
Al tempo stesso, prometto di tornare sul tema di un altro dolore, non negato, bensì imposto. Cioè,
Il dolore preteso dalle donne childless
Alcuni studi hanno dimostrato che le donne infertili o sterili, parlo stavolta in senso medico, tendono a sviluppare forme di depressione maggiore simili a quelle delle persone con cancro o HIV. Se da una parte la nostra società riversa biasimo e commiserazione sulle donne che non possono avere figli, e le pretende private della gioia più grande (secondo retorica paternalista), dall’altra fatica a riconoscere che sterilità e infertilità sono traumi riproduttivi molto gravi, che mettono in crisi l’identità stessa di coloro che scoprono di non potere avere figli.
Nel prossimo numero della newsletter vorrei parlare proprio di questo doppio, se non triplo standard che:
nega alle donne che hanno avuto aborti spontanei il lutto e lo status di madre;
delegittima le storie (esistono!) di chi ha scoperto di essere sterile o infertile ma sta benissimo (per parafrasare la community della psicoterapeuta, attivista e amica Federica Di Martino, IVG Ho abortito e sto benissimo con il rischio di sembrare blasfema, me ne rendo conto,
ma il senso di Rompere le Uova è esattamente questo: smettere di contrapporre scelte e condizioni di genitoralità o non genitorialità, e soprattutto di gerarchizzarle secondo una scala di valori arbitraria e patriarcale);
pretende dalle donne childless un dolore identitario - anzi, lo genera e lo promuove - , salvo poi non riconoscerlo a livello di cura e non farsene carico. 🥚
Grazie per aver letto fin qui!
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🥚 Le puntate precedenti
Qualora te le fossi perse:
Quante ragioni abbiamo per NON avere figli?
E se, invece di chiedere Perché non vuoi figli?, chiedessimo Perché ne hai/ vuoi?
Madri, childless, childfree... Altro
Come vogliono dividerci in base a quello che i nostri uteri hanno o non hanno prodotto - o al fatto stesso di avercelo, un utero!
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Ilaria Maria Dondi