Il "tempo vuoto" delle donne senza figli, discriminate sul lavoro
Perché sul lavoro ci si aspetta che le donne e le persone senza figli offrano una disponibilità maggiore e si facciano per esempio sempre carico dei turni natalizi o festivi?
Ciao, io sono Ilaria Maria Dondi, tra le altre cose sono “mamma” dal 2016 ma esisto nel mondo dal 1981: il che significa che per 35 anni sono stata una donna, in periodi diversi dell’età adulta, prima childless e poi childfree. Questa è la mia newsletter in cui scrivo di diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi).
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Sono quattro mesi che non scrivo, e quindi non invio, la mia newsletter. Ok, lo so che nella presentazione di Rompere le Uova te lo avevo proprio promesso:
"NON ti riempirò la casella di posta elettronica - no, grazie!
Come te, anche io sono sommersa da newsletter che, per quanto interessanti, finisco per non riuscire a leggere."
Potrei quindi avanzare giustifica di coerenza, ma la realtà è che il mio silenzio non è stato voluto, né calcolato, né corrisponde a un'assenza di cose da dire sul tema. Anzi: ne avrei molte, moltissime, e vivo la frustrazione costante (che molte persone che lavorano con la scrittura conoscono) di sacrificare quotidianamente quello che vorrei, a quello che devo scrivere.
Infine, eccoci qua.
Mi viene pure da sorridere, perché le parole che leggerai ora, su questo tema che mi sta molto a cuore, sono state tratte dal mio saggio sui diritti riproduttivi e non riproduttivi che uscirà nel 2024.
No, nessuno spoiler, nessuna anticipazione (solo ansia, al momento, all’idea che manca sempre meno! 😵💫): si tratta di un passaggio che abbiamo deciso di espungere, cioè eliminare, per ragioni che qui ci interessano poco. Quindi, se sei d’accordo, iniziamo.
Il tempo vuoto delle donne senza figli
La penalizzazione che colpisce le donne sul lavoro quando diventano madri è una piaga endemica riconosciuto a livello internazionale, tanto da essere fulcro del quinto di diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, dedicato alla Gender Equality.
La discriminazione che affligge le donne senza figli nello svolgimento della loro professione, invece, resta nascosta e per lo più taciuta.
La questione, se possibile, è diventata ancor più invisibile con la pandemia. L’emorragia di forza lavoro femminile con figli, verificatasi per sopperire alla chiusura di scuole e asili, è stata talmente grave attirare su di sé ogni attenzione1.
In un certo senso alla crisi da Covid-19 va riconosciuto il fatto, pur senza merito alcuno, di aver posto in modo inequivocabile il problema della discriminazione di genere tra genitori in ambito professionale: al punto che governi e aziende si può dire siano stati ‘costretti’ ad adottare soluzioni straordinarie, e normalizzarne altre (smart working in testa), per tentare di far fronte a una situazione insostenibile oltre che ingiusta. Ma in tutto questo:
Dove sono le lavoratrici senza figli?
Come stavano prima e cosa ne è stato di loro, dall’esordio della pandemia a oggi?
Le donne senza figli impiegate nel mondo del lavoro pagano lo scotto di un pregiudizio che le vuole in una situazione lavorativa privilegiata rispetto alle loro coetanee madri, ma che è falso almeno sotto tre punti di vista, che corrispondono ad altrettante «penalità».
Penalità 1: motherhood penalty preventiva
La prima, a onor del vero, è abbastanza evidente.
Le donne senza figli in età fertile possono diventare madri.
Un’affermazione lapalissiana, forse, ma la potenzialità riproduttiva stessa della donna, a prescindere dalla sua volontà, è un fattore discriminante,
da tenere sotto controllo per molte imprese.
A parità di curricula le aziende preferiscono un candidato maschio. Lo confermano vari studi che, a dirla tutta, mostrano anche la tendenza a preferire un candidato meno profilato a una candidata molto competente, proprio per evitare che quest’ultima possa diventare una risorsa in condizione di usufruire della maternità obbligatoria e di eventuali congedi facoltativi o permessi genitoriali, per oltre il 70-80% comunque usufruiti dalla madre.
Possiamo invocare la meritocrazia, appellarci all’art. 27 del decreto legislativo n.198/2006 noto come Codice delle Pari Opportunità ma
la realtà è che a più della metà delle donne tra i 30 e i 50 anni è stato chiesto, in sede di colloquio di lavoro, se volesse o meno avere figli2. È illegale, certo, ma vai a dimostrare che la domanda ti è stata posta!
Non basta peraltro scegliere di rispondere un no non dovuto, sincero o propedeutico all’ottenimento del posto di lavoro posto: resta la potenzialità riproduttiva, e la donna seduta di fronte al datore di lavoro non è mai solo una risorsa.
Neppure la convinzione di non avere figli aiuta: la scelta childfree, che si scontra con lo stigma sociale e la retorica materna del ‘vedrai che cambi idea’ o ‘poi te ne penti’, non vale come garanzia; così come la condizione childless per infertilità o cause di forza maggiore, può in alcuni casi essere ‘risolta’ con soluzioni alternative o sociali di maternità. La donna che non ha e/o non vuole figli subisce un motherhood penalty preventivo, quando si tratta di assunzioni e contratti, ma anche di avanzamenti di carriera, stipendi e altri benefit.
Penalità 2: il pregiudizio del tempo vuoto
La seconda penalità è lo scarso valore attribuito al tempo delle donne senza figli. Qualsiasi lavoratrice senza figli sa bene di cosa parlo: io stessa lo sono stata fino ai miei trentaquattro anni e ho conosciuto in prima persona lo sfruttamento cui sono sottoposte le donne senza figli sul lavoro, sia da parte dei superiori o titolari delle aziende, sia da parte delle colleghe madri.
Posto che la società della performance tende a svalutare il tempo libero in generale, in nome della retorica del successo e della performatività, il pregiudizio che il tempo di una donna senza figli valga meno di quello di una madre è pervasivo e, di nuovo, la congiuntura pandemica ci ha messo del suo.
Nel settembre 2022, sul New York Times è stato pubblicato l’articolo Parents Got More Time Off. Then the Backlash Started, in cui i giornalisti Daisuke Wakabayashi e Sheera Frenkel davano conto della ‘faida’ sorta tra dipendenti con e senza figli all’interno di alcune Big Tech della Silicon Valley. Quest’ultime erano considerate colpevoli o meritevoli (dipende dai punti di vista!) di aver adottato politiche pandemiche riservate a lavoratori e lavoratrici con prole a carico, cui erano stati concessi permessi e tempo libero extra, o accordati bonus svincolati dal raggiungimento di obiettivi o scatti di anzianità, che invece lavoratori e lavoratrici childless dovevano continuare a meritare.
La diatriba è presto degenerata in una contrapposizione tra madri e non per il semplice fatto che, posto che oltre l’80% del lavoro di cura cosiddetto non retribuito (quindi casa, figli, etc.) è a carico delle donne, a godere di questi benefit sono state soprattutto le madri lavoratrici di queste aziende.
Quanto alla dipendenti senza figli che protestavano per l’ingiustizia, i social hanno emesso al minuto zero sentenza di egoismo.
Ma è davvero così? Secondo Laszlo Bock non ci so-no dubbi: pur ammettendo che è un periodo difficile per tutte e tutti, l’ex capo delle risorse umane di Google, ha dichiarato al New York Times:
Arrabbiarsi al punto da dire ‘Sento che questo è ingiusto’ dimostra
una mancanza di pazienza, una mancanza di empatia e di senso dei diritti.
Assumere questo punto di vista significa però riconoscere un presupposto fortemente discriminatorio: il tempo libero delle donne senza figli vale meno. Altrimenti la tesi di Bock non tiene. Purtroppo, il pensiero è diffuso. Come scrive la sociologa Amy Blackstone, le aziende, i superiori e i colleghi stessi, uomini o donne che siano,
si aspettano che una lavoratrice senza figli sia più disponibile a restare fino a tardi al lavoro, ad accollarsi i turni nel weekend, ad adeguarsi alle esigenze delle colleghe vincolate dalle esigenze dei figli.
La questione va oltre l’auspicabile solidarietà tra colleghi e colleghe che si supportano nel momento del bisogno. Si tratta di una vera e propria aspettativa professionale e sociale, che pesa sulle donne senza figli e le stigmatizza come «egoiste» quando rivendicano il valore del loro tempo, o non accettano di subordinarlo od offrirlo in sacrificio a quello delle colleghe madri.
L’assunto di questa pretesa è un preciso giudizio di valore sulla vita privata delle donne senza figli: si dà per scontato abbiano molto libero e, soprattutto, che qualsiasi altra attività le occupi oltre quella professionale valga meno dei doveri di cura che, ci si aspetta, occupino le ore extra lavorative delle madri. È parere comune, insomma, che le persone senza figli, specie se donne, non abbiano in qualche modo diritto a bilanciare lavoro e vita privata: perché di fatto non viene riconosciuto il valore della loro vita privata. Strettamente connessa a questa seconda penalità è la terza:
Penalità 3: il pregiudizio della childfree egoista e carrierista…
… quindi, certamente devota al lavoro e disponibile a tutto, addirittura desiderosa di essere spremuta per la causa professionale.
Del resto, alle donne si chiede da sempre e in continuazione di giustificare il fatto di non avere figli: cos’hanno o cosa intendono fare di altrettanto importante da giustificare l’assenza? La questione all’uomo non si pone, mai.
Non è un caso che la rappresentazione della donna senza figli abbia riempito schermi televisivi e cinematografici di una folta schiera di personagge acide o party harder, ma sempre carrieriste, votate alla realizzazione professionale e maschilizzate, nel loro essere disposte a tutto, per tentare la scalata al successo. La morale di queste narrazioni, del resto, è quasi sempre educativa: la donna egoista e carrierista si rende conto della frivolezza e dell’inutilità della sua vita e, quando le va bene, ha il tempo per riscoprire i «valori che contano» e ripensarsi madre.
Se non lo fa, tanto vale che passi la vita lavorando, tappando i buchi delle colleghe madri che, al contrario, subiscono lo stigma di donne prive di ambizioni.
A dimostrazione che: madri, childless, childfree, non si salva mai nessuna, e che a maggior ragione non è mai una lotta delle une contro le altre, anche se ce l’hanno fatta sembrare tale. L’opposizione archetipica tra donna-madre e donna-senza figli, in tutto ciò, agisce al solito come arma di distrazione di massa e strategia per dividere, e quindi controllare, l’unica maggioranza discriminata nella storia dell’essere umano.
E quindi? Restiamo unitə.
Chiedere alle lavoratrici senza figli di farsi carico delle esigenze delle colleghe con figli, distoglie l’attenzione dalla necessità di un ripensamento del mondo del lavoro al di fuori della logica del sacrificio, che delega l’accesso a diritti basilari di alcune persone (tra cui le madri) allo sfruttamento di altre (tra cui le donne childfree).
Si alimenta, cioè, uno scontro tra scelte di vita, invece di pretendere politiche di lavoro basate su uguaglianza, equità e inclusività, strutturate per garantire, come da Costituzione, la dignità e la realizzazione dell’essere umano, a prescindere da tutte le altre variabili.
Nell’applicare politiche sull’orario flessibile, di smart working o altri benefit, le aziende dovrebbero agire senza neppure porsi la questione del genere o dello stato riproduttivo della o del dipendente.
A questo proposito, Anne-Marie Slaughter in Unfinished Business scrive:
Il tipo di flessibilità di cui abbiamo bisogno non stigmatizza né sfrutta.
Tradotto: abbiamo bisogno di un modello lavorativo che rifiuti il performativismo capitalistico, che ha in orrore la scelta e il diritto di diventare (o meno) madri.
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🥚 Le puntate precedenti
Qualora te le fossi perse:
Il lutto negato alle "mamme-non-mamme”
Come la nostra società maternalista nega il dolore e l'identità materna alle donne che non possono avere figli, hanno avuto aborti spontanei o terapeutici (mentre li pretende da chi sceglie l'IVG).
"Vorrei avere figli, ma non posso"
Quante condizioni childless esistono oltre la narrazione unica del 'figlio che non arriva'?
Quante ragioni abbiamo per NON avere figli?
E se, invece di chiedere Perché non vuoi figli?, chiedessimo Perché ne hai/ vuoi?
Madri, childless, childfree... Altro
Come vogliono dividerci in base a quello che i nostri uteri hanno o non hanno prodotto - o al fatto stesso di avercelo, un utero!
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Ilaria Maria Dondi
Nel 2020, il tasso di occupazione femminile è sceso al 49%, di nuovo sotto la soglia del 50%, insufficiente e pur conquistata a fatica nei sette anni precedenti. Nello stesso anno, più di 30mila madri hanno rassegnato le dimissioni, nella mag- gior parte dei casi per adempiere al lavoro di cura non retribuito di figli e familiari in seguito alla serrata delle scuole e dei servizi all’infanzia, alla terza età e di assi- stenza a persone in stato di necessità. Fonte dati: rapporto di Save The Children, Le Equilibriste: la maternità in Italia, 2022.
Dal report EY-SWG, Parità di genere & leadership al femminile, 2022.
Restiamo unitə è una sintesi bellissima!