Se sei donna ci si aspetta che tu diventi madre (ma non vale per tutte!)
Questa è un'edizione della newsletter insolita, con podcast annesso. Puoi leggerla o puoi ascoltarla.
Meno 5 giorni all’uscita di Libere. Di scegliere se e come avere figli (Einaudi) in tutte le libreria. Gioia, ansia, tripudio, di nuovo ansia. Mi affido al mio animale guida: l’opossum. Mi fingo morta. Anche se gli opossum non scrivono libri… Pare invece che io lo abbia fatto.
🎁 VUOI UN REGALO? 🎁
Martedì 16 gennaio, il giorno dell’uscita del libro, ho deciso di fare un regalo alle lettrici e ai lettori della newsletter. Quindi, se non sei ancora iscrittə, ma vuoi ricevere il regalo… Clicca sul tastino viola qui sotto.
Recupero la faccia svagata che avevo prima (o dopo? ) la registrazione di questa puntata che mi è stata affidata della serie "Voci contro la violenza", podcast prodotto da Podcastory.
In tutto sono sei puntate, ognuna affidata a una professionista diversa, per raccontare altrettante forme di violenza.
Nel mio episodio parlo di diritti riproduttivi (che al solito sono e devono essere anche diritto a non riprodursi, o a farlo al di fuori dei limiti imposti, anche dalle stesse leggi). Manco a dirlo: non è così, quasi mai!
Il tema, insomma, è tutt'altro che svagato (come mio solito, dirà qualcuno!).
Dentro, anzi, ci troverete forme di ingiustizia e gravi violazioni dei diritti riproduttivi di cui si parla ancora troppo poco o per nulla, tra cui (e prendetelo anche per un TW, come direbbero quellə bravə):
➡️ abilismo riproduttivo
➡️ razzismo riproduttivo
➡️ coercizione riproduttiva e sterilizzazione forzata
➡️ violenza ostetrica.
Le donne devono fare figli, ma solo se etero, bianche, 'abili' e...
Come ti dicevo, puoi leggere le mie parole di seguito.
O ascoltarle qui.
Sono “mamma” dal 2016 ma esisto nel mondo dal 1981: il che significa che per 35 anni sono stata una donna senza figli.
Dai 25 ai 35 anni circa ho quindi sperimentato il disappunto di una società che mi voleva madre a tutti i costi e la rappresentazione stereotipata che si dà delle donne senza figli.
I cliché sono due: la party harder, egoista e un po’ puttane da una parte, e dall’altra la poverina, quella gattara, sola, per forza infelice. A prescindere da come mi vedevano le altre persone, io non mi riconoscevo né nell’una, né nell’altra.
Poi sono diventata madre.
E ho compreso che non c’era spazio per me fuori dal giudizio e dallo stereotipo, neppure con un bambino in braccio. Mio figlio non era ancora nato è io ero già una madre insufficiente. Lo sono stata durante il parto, quando
“signora mia, cosa si aspettava - mi rimbrotta l’ostetrica -, le donne hanno sempre partorito anche senza epidurale, davvero vuole un parto medicalizzato?”.
Sì, lo volevo. Anche se mi sentivo già inadatta al mio ‘ruolo’ materno, in difetto, non abbastanza brava.
Non abbastanza brava lo sono stata, di nuovo, anche nelle ore successive, quando ho chiesto di poter lasciare il bambino al nido dell’ospedale per dormire un po’. Sono stata rispedita in camera con la culletta perché
“signora, guardi che poi a casa non c’è nessuno che lo tiene al posto suo. Tocca a lei”.
Più che insufficiente, sbagliata, contronatura, egoista e ingrata, mi sono sentita (e mi hanno fatto sentire), tutte le volte - e sono state tante - in cui ho chiesto aiuto nelle settimane successive. Sembrava avessi disimparato a dormire, anche quando mio figlio si faceva tirate di ore e ore, io restavo con gli occhi aperti, nonostante il corpo e la mente spossati.
“Signora, succede a tutte - mi dicevano le ostetriche, la ginecologa e persino la psicologa del consultorio neonatale, che continuavo a chiamare -. Poi passa”,
aggiungevano raccomandandomi di continuare ad allattare, a richiesta, resistere, non mollare. Passa, dicevano. Non passava.
Finché ho capito che mio figlio non aveva bisogno del santino della madre devota e sacrificale. Aveva bisogno di una madre serena. Di me, viva.
Secondo l'OMS, circa 1 donna su 5 soffre di depressione post-partum e il 20% ha pensieri suicidi. Allora perché se una puerpera alza la mano e chiede aiuto, non viene creduta? Perché viene sminuita, giudicata? Perché, soprattutto, al di là dell’esperienza personale di ogni singola persona non esiste una procedura definita e non affidata alla ‘fortuna’ per far fronte a un fenomeno che ha i numeri dell’emergenza?
La narrazione romanticizzata della maternità, totalizzante, performativa e gioiosa nel sacrifico che fiabe, racconti, film ci propinano sin da bambine con lo scopo di educarci è falsa. Fa male alle madri e fa male ai loro figli. E fa talmente male perché la retorica della maternità sacrale riempie anche i luoghi preposti alla salute riproduttiva, che per troppe madri diventano luoghi di non-salute mentale e di giudizio, dove misurare la propria inadeguatezza e imparare la propria solitudine.
Ogni anno, in Italia, decine di migliaia di donne subiscono varie forme di violenza ostetrica durante il parto e il post partum.
Io sono una di queste donne. Siamo in tante.
La violenza ostetrica è difficile da definire - e da dimostrare: comprende comportamenti abusanti, che vanno dalla carenza assistenziale, alle umiliazioni verbali o inflitte tramite linguaggio del corpo, fino all’uso di routine dell’episiotomia e di altre procedure sconsigliate dall’OMS, somministrate senza il consenso informato e senza una reale urgenza salvavita.
Violenza ostetrica sono anche la negazione o il ritardo deliberato nella somministrazione dell’epidurale, il mancato o insufficiente sollievo dal dolore, e altre microagressioni e costrizione a pratiche di maternità performative nel post partum camuffate da necessità di “fare il bene del bambino”.
La violenza ostetrica, del resto, non si esaurisce nel momento dell’abuso, ma è dimostrato possa costituire un trauma riproduttivo, che induce donne che vorrebbero altri figli a desistere, portare allo sviluppo del disturbo da stress post traumatico e favorire l’insorgenza dei disturbi dell’umore post-partum.
Ma quella ostetrica è solo una delle tante forme della violenza riproduttiva
Cresciuta al mito preconfezionato della maternità come destino e massima realizzazione di ogni donna, ho dato a lungo per scontato che la società si aspettasse che io diventassi madre.
Il che è vero, s’intende. Al punto che persino nella nostra Costituzione ci si riferisce alla “naturale funzione” riproduttiva e di cura delle cittadine italiane.
Ma siamo sicure e sicuri che questa sia l’aspettativa sociale per ogni persona assegnata femmina alla nascita?
Proviamo a cambiare prospettiva.
Da una donna con disabilità la società non si aspetta figli (con alcune eccezioni, sottoposte comunque a giudizi e interrogativi di varia natura).
Una coppia lesbica, nel 2024, stando ai diritti riproduttivi che la legge NON concede alle coppie omosessuali dovrebbe accontentarsi di amarsi senza tirare in ballo desideri di genitorialità considerati, dicono i benpensanti, “egoisti e contro-natura” secondo la logica eteropatriarcale, smentita da vari studi, per cui “i bambini abbiano bisogno di un padre e di una madre”.
Una ragazza incinta in età precoce? Per la società è, diciamo, una ‘poco di buono’? E il suo essere gravida una vergogna, un disonore, una leggerezza che le rovinerà la vita.
Altri esempi? Madre single per scelta: anomalia.
Madre over 50, primipara attempatissima: anomalia.
Madre trans: anomalia, anzi, mostruosità.
Visto da qui mi pare che il cortocircuito si veda bene: se è vero che nella storia le donne senza figli sono state ripudiate, per legge, perseguitate come streghe, torturate e sottoposte a riti di purificazione che dovevano curarle e renderle fertili, la verità è che la questione per una donna non è tanto o solo “avere o non avere figli”, ma “averli o non averli” all’interno di precise regole sociali.
Il nostro desiderio, la nostra volontà o la nostra scelta fuori da queste condizioni,
fissate dalle leggi, contano poco.
Se il diritto al figlio diventa privilegio
Certo, il fatto che adottare o avere figli tramite fecondazione assistita sia vietato in Italia alle coppie omogenitoriali, come alle donne single che vorrebbero costruire famiglie monogenitoriali, non impedisce ad alcune di esse di andare all’estero in Paesi dove queste pratiche sono consentite. Ma questo non significa garantire alcun diritto riproduttivo, semmai vincolarlo alle possibilità personali, e quindi al privilegio, che peraltro si scontrerà poi con l’omofobia vigente nella legge italiana in sede di registrazione all’anagrafe.
Questa è discriminazione, quindi violenza, riproduttiva.
Ma ci sono forme di violenza riproduttiva socialmente accettate ancora più violente, posto che abbia senso fare una classifica delle discriminazioni, s’intede.
L’abilismo riproduttivo e l’infantilizzazione delle donne con disabilità
L’infantilizzazione e la deumanizzazione costante cui sono sottoposte le persone con disabilità, fa sì che siano sistematicamente negate (o non adeguatamente garantite) loro salute ginecologica, riproduttiva e autodeterminazione.
La retorica maternalista per cui le donne sono nate per diventare madri non si applica, lo abbiamo già detto, alle donne disabili, perché siamo ancora una società intrisa di ideologia eugenetica. Prendiamo la questione aborto: sappiamo bene che le donne che scelgono di avvalersi dell’interruzione volontaria di gravidanza sono costrette a fare lo slalom tra ospedali che non garantiscono il loro diritto e sottoposte a varie forme di violenza riproduttiva, tra cui reprimende moralizzanti e l’ascolto del battito cardiaco del feto. Giusto? Bene, alle donne con disabilità questo non accade quasi mai, anzi, spesso si sentono sconsigliare la gravidanza o consigliare l’aborto, anche in assenza di rischi medici o evidenze scientifiche precise.
Non pensiamo poi che induzione all’aborto, aborti obbligati, contraccezione involontaria, sottrazione dei figli e sterilizzazione forzata, siano retaggi del passato.
Negli USA, la sterilizzazione forzata delle persone con disabilità è legale in 31 Stati più Washington DC, è vietata esplicitamente solo nello stato di New York City e in Alaska. Mentre al 2022, 14 Stati membri dell'UE ancora consentono alcune forme di sterilizzazione forzata.
Il razzismo riproduttivo
Le stesse forme di violenza riproduttiva, del resto, si applicano anche a molte donne black o brown. Sì, ok, è successo, succede ancora per la verità, ma non in Italia: immagino possa essere l’obiezione. Giusto? Sbagliato.
Quando nel gennaio 2016 ho partorito mio figlio, in quanto donna bianca, ho avuto da due a tre volte meno probabilità di morire di parto o di complicazioni post partum di una donna nera o non bianca. Perché? Per il pregiudizio che le donne nere siano più resistenti al dolore, abbiano fianchi che le predispongano a partorire con più facilità, urlino di più durante la fase espulsiva per ragione culturali e questo giustifichi la tendenza a sottovalutare il loro dolore più di quanto non si faccia già con qualsiasi donna bianca. Per quel terrore della miscegenazione per cui si paragonano le donne black e brown a conigli e si dicono cose come “ci conquisteranno senza sparare un colpo”. In una parola? Per razzismo.
Il rapporto tra sterilità e violenza sulle donne
Di come la violenza riproduttiva abbia bruciato sul rogo donne senza figli, per scelta o condizione, e ne abbia costrette altre alla prostituzione o alla povertà dopo essere state ripudiate abbiamo accennato. Quello che non si dice è:
che le percentuali di violenza domestica, già spaventose, crescono nelle coppie sterili o infertili,
che molte donne intraprendono i percorsi di fecondazioni - spesso lunghi, dispendiosi e dolorosi - perché costrette dai partner, dalle famiglie o dal senso di colpa che le spinge a sentirsi in dovere di riparare a una mancanza, che non hanno.
Perché non si è meno donne se non si possono avere figli, ma la nostra società maternalista spinge la donna che non può diventare madre in senso biologico a sentirsi rotta, maledetta, sbagliata.
Questa non è forse un’enorme forma di violenza psicologica che la nostra società agisce in nome del mito della madre e della culla piena?
Il tema è ampio, complesso, né possono bastare questi pochi minuti in cui mi auguro di essere riuscita, non a chiudere un discorso, né a rispondere a una tesi, bensì ad aprire semmai più di un punto interrogativo.
Quello che io credo è che serva oggi un nuovo modo di parlar di scelte, condizioni e diritti riproduttivi (che sono anche diritti a non riprodursi).
Credo serva, innanzitutto, smettere di opporre chi ha figli a chi non ne ha e di dividerci in base a quello che i nostri uteri hanno o non hanno prodotto - o al fatto stesso di avercelo, un utero!
Credo sia necessario
decostruire il mito della maternità come destino e massima realizzazione di una donna,
rimettere al centro il desiderio,
ma anche cominciare a parlare del grande assente nei discorsi riproduttivi: il consenso.
Cominciamo a parlare di consenso riproduttivo.
Grazie per aver letto fin qui!
Ti sembra interessante quello che hai letto finora?
Se sì, sappi che puoi supportare gratuitamente il mio lavoro!
Come? Metti un mi piace, lascia un commento e, soprattutto, usa questo tasto per consigliare la mia newsletter sui tuoi social o a chi ritieni possa essere interessatə.
- 5 giorni e ci vediamo in libreria
Libere. Di scegliere se e come avere figli (Einaudi) sarà in libreria dal 16 gennaio, ma si può già preordinare in tutte le librerie e negli store online.
🎨 L'illustrazione di copertina è della bravissima Anna Parini che ringrazio per aver interpretato magistralmente il concetto di sorellanza, nel senso profondo e non abusato del termine.
📖 Ho tanti ringraziamenti da fare, ma ci torno appena avrò tra le mani questo volumetto per me tanto prezioso: quando sarà anche nelle mani di chi, tra voi, vorrà dedicargli tempo e pensieri 💜.
Tastino viola qui sotto se proprio non resistete e volete acquistarlo subito ⬇️
Vuoi supportare il mio lavoro?
✅ Ogni numero di Rompere le uova è il frutto di un accurato lavoro di ricerca, studio e stesura, che svolgo in modo volontario, gratuito e indipendente a scopo divulgativo.
✅ Se vuoi supportare il mio lavoro affinché resti libero, indipendente, gratuito, puoi "offrirmi un caffè", qui (tastino viola qui sotto)
Se non puoi, non preoccuparti: tutti i contenuti di Rompere le uova sono e resteranno fruibili gratuitamente.
Grazie 🙏 ! Davvero.
Ilaria Maria Dondi